Identità Digitali
In una mailing list si è ipotizzato di utilizzare la PEC come strumento
di identificazione.
La PEC per identificare le aziende e le altre organizzazioni sicuramente
è attuabile.
Per identificare i privati sono dubbioso: quasi nessuno può e sa davvero
gestire originali digitali (le raccomandate digitali) sui propri computer.
La norma italiana (art. 6 comma 3 del DPR sulla PEC) che sancisce che la
ricevuta di consegna della PEC costituisce prova dell’avvenuta consegna
del messaggio al destinatario, penalizza gli utenti privati. Oggi il
loro computer é molto più insicuro e soggetto ad attacchi delle loro
abitazioni.
Dire che la consegna di una raccomandata sul PC equivale alla consegna
di una raccomandata a casa é una finzione giuridica, che non ha
riscontro nei fatti.
Ciò detto, concordo sul fatto che occorra una tecnologia aperta e
standardizzata per gestire le identità on-line.
Al tempo stesso, credo che stiamo parlando di idee/soluzioni (ad oggi)
così altamente creative, che non sono ancora maturi i tempi per la
standardizzazione.
Insomma, occorre il genio creativo di un imprenditore di grande talento,
per trovare una soluzione bilanciata alla componenti dell’identità
digitale (analogamente a iPod, iPhone, facebook, ecc., che hanno creato
oggetti socialmente e culturalmente accettati, laddove altri avevano
provato, senza riuscire).
Comunque, visto che comunque si tratta di applicazioni che fanno uso
della crittografia, certamente il comitato ETSI che presiedo é
competente a redigere i relativi standard.
Inoltre rientra nel programma della Commissione UE COM 798/2008, che
troverá attuazione nei prossimi 4 anni, ma lo standard non sarebbe
sufficiente a garantire l’adozione sociale …
Infine, non per fare il “visionario” a tutti i costi, ma mi sembra
essenziale aggiungere che la nostra identità non é un codice fiscale o
un numero allo stato civile.
Id-entità, vuol dire entità uguale (costante ed eventualmente singola,
ossia unica).
Parlando di una persona fisica, queste caratteristiche ontologiche erano
immanenti nella natura fisica della persona: se chiudi una persona in
una cella (anche se non sia chi sia) quella persona cessa di circolare
liberamente.
Con le identità virtuali, il discorso si complica notevolmente.
Un identificativo crittografico certamente é unico e inconfondibile. Ma
é liberamente associabile a qualsiasi entità fisica o giuridica.
Se blocchi un identificativo giuridico, non blocchi la persona (o le
persone) ad esso relative, che possono risorgere all’infinito, come
l’araba fenice.
Insomma l’id-entità digitale, non é e non può essere una id-entità, se
riferita a delle persone o a degli oggetti fisici.
Ciò che si puó, invece realizzare, é di identificare degli oggetti
sociali (immateriali, come il danaro) mediante identificativi crittografici.
Vale a dire é possibile e anche facile munire di id-entità una somma di
danaro, una disponibilità di credito, un testo, un know how, ecc.
Con ciò diventerebbero dei mini-patrimoni-separati, una sorta di
mini-soggetto-giuridico-a-scopo-limitato (più che a responsabilità
limitata).
La digital disruption applicata alle società di capitali: dopo la
dematerializzazione del danaro (Bretton Woods) e delle azioni (Monte
Titoli), si dematerializzano i soggetti giuridici che si moltiplicano
(da organismi complessi diventano organismi cellulari) e cessano di
avere proprietá fisiche (una sede con mura tavoli sedie e un indirizzo
stradale, dei rappresentanti che sono persone fisiche, dei soci).
Non per dire che non si può fare. Ma per dire che oggi si fa, anche se
con strumenti approssimativi e rischiosi, che non assomigliano neppure
vagamente a ciò che verrà.
Come i primi aerei.
Roba da capitani coraggiosi. Eppure volavano … ed erano una figata
pazzesca!
RG